T=traduzione
                        Un esempio di suggestioni foniche



I titoli, si sa, sono come i simboli.
E penetrarne il significato è un po’ come metterne in evidenza le proiezioni e le valenze inconsce. Con il sottile vantaggio di riportare in superficie, oltre ad una consapevolezza lasciata latente, anche un significato che rimanda a modelli e suggestioni di varia natura. Il simbolo è il dominio della crittografia psicologica e esoterica; e il titolo è il memento, la chiave di lettura di un autore.
Possono essere elementi semplici, di derivazione naturale come i colori, gli animali o le forme; ma possono anche essere creazioni dell’uomo, come arnesi, forme geometriche o personaggi leggendari. Possono essere anche dei foni. Sì: proprio dei foni, quei suoni piccoli piccoli dati per scontati che costituiscono la base del parlare quotidiano. Anche i foni possono veicolare in modo sottile e nascosto un messaggio inconscio, una possibile modalità di lettura.
Ne è un esempio Lara Manni che, per la sua trilogia, ha scelto titoli contenenti sempre, in modo più o meno incisivo, il fono T. É stato un gioco linguistico, per sua stessa ammissione: trovare parole che avessero in chiusura sempre la lettera t. Un vezzo, si può dire; un capriccio o un gioco creativo; forse, semplicemente, una forma di firma. Così sono nati Esbat e Sopdet (adesso in libreria), e così sarà per Tanit.
C’è il divertissiment, ma c’è anche il simbolismo. Dietro il gioco fonico proposto dall’autrice si nasconde anche una piccola strizzata d’occhio al lettore che si vuole lasciar avvincere dal meccanismo del sotteso e dell’alluso. É come se quella t allitterante fra i titoli rappresentasse un pedaggio iniziatico. Ci sono molti livelli di lettura in Esbat e Sodet. L’uno legato all’altro, ma non l’uno necessario all’altro: può essere una lettura ricreative; può essere il divertimento di ricercare modelli, riusi e innovazioni apportate a vari topoi letterari. Ma è anche una lettura del fantastico, il cui accesso è nascosto e sotteso, complesso, come i piani di lettura che li caratterizzano.
E forse proprio in un retaggio genetico di suggestioni culturali e valenze simbolico-magiche affonda la fascinazione di Lara Manni per quel suono, per quell’occlusiva che è un ostacolo nella pronuncia, un muro contro cui sbattere. Non per fermarsi; per riflettere. Per rileggere il peso allusivo e mistico che il fono T ha sempre posseduto e veicolato quasi in sordina, con la discrezione di un memento forte proprio perché sussurrato di continuo.
Ma cosa rappresenta nella realtà Occidentale il suono T?
Partiamo ab ovo: dalle origini. La T è una lettera presente in tutte le lingue semitiche e indoeuropee, dal greco al latino passando per l’ebraico, l’etrusco e il russo per tacere di altre. Ritenuta portatrice di valenze migico-misteriche ed esoteriche, la T è conosciuta nella sibologia mediterranea come emblema veicolare prima ancora che in qualità di suono alfabetico. Gli antichi Egizi la conoscevano come anck e la riproducevano con un occhiello che sormontava il tratto orizzontale. Era chiamata la croce della vita e della morte o chiave dell’infinito, donata all’uomo spirituale dal Dio della conoscenza Thot. Tuttavia, come dimostrano i geroglifici e le pitture parietali che adornano templi e tombe di età faraonica, l’anck è associata anche ad altre divinità come Iside e talvolta Osiride: divinità di confine, la chiave ben rappresenta la loro condizione liminare, l’appartenere della coppia divina al contempo al mondo terrestre e a quello infero. La T è il mezzo: la chiave, appunto, per aprire ai mondi, per permettere il passaggio fra i mondi. Il passaggiocostituisce anche uno dei punti focali dei lavori di Lara Manni: sia in Esbat sia in Sopdet la fluttuazione fra mondi è il motore dell’azione, la causa prima di interferenze e dell’evoluzione narrativa. L’esbat stesso, mutuato dai rituali religiosi neopagani, incarna il cambiamento: il suo legame con le fasi lunari e il ciclo mestruale della donna, per tralasciare il significato iniziatico avvertito dagli adepti soprattutto in particolari ricorrenze, pone Esbat al centro di una visione stratificata e complessa, in cui è l’elemento femminile a dominare, nelle sue variegate declinazioni. Passaggio, dunque; ma anche evoluzione, mutamento: cambiamento. Quest’ultimo, in particolare, al centro di Sopdet. Quasi Bildungsroman sotteso nella narrazione fantastica, Sopdet diviene più sottile: il passaggio, ben presente nel romanzo attraverso i salti temporali e la deriva dei personaggi fra mondi differenti, è solo la punta visibile dell’iceberg. É passaggio anche il percorso di formazione intrapreso dagli attori in scena che siano uomini, demoni o divinità. C’è un sottile filo rosso che li lega, con la complessità elegante di una narrazione condotta con maestria, capace di concedere respiri di riflessione e serrare il ritmo all’occorrenza. Un trait d’union in cui il passaggio è solo una delle componenti, forse la più immediata, e che presenta proprio nel fonema t la sua prima strizzata d’occhio al lettore.
Proseguendo nella ricerca delle valenze magico-simboliche di t, il segno grafico possiede anche il nome di croce patibolare in quanto era proprio la forma T a caratterizzare la croce dei supplizi in età fenicia prima e romana poi. Un elemento macabro che, in apparenza, slega completamente l’elemento fonico a quello grafico. Tuttavia, anche in virtù della successiva rielaborazione cristiana della T, allo strumento di tortura si è sommata una componente allegorica: l’obiettivo raggiunto solo attraverso la sofferenza. La sofferenza è, quindi, il secondo elemento incarnato nella t ed è anche il secondo elemento che si ritrova nei romanzi di Lara Manni. Precisiamo: il termine sofferenza va inteso nel suo significato più ampio quale condizione di dolore che può riguardare il corpo e il vissuto emotivo oppure può essere espressione di una afflizione interiore più profonda, di cui può essere difficile o impossibile individuare un fondamento oggettivo. É soprattutto all’ultima definizione che si vuol far riferimento in relazione ai lavori di Lara Manni. Una componente di sofferenza fisica è presente nei romanzi, ma è soprattutto l’aspetto psicologico e intimistico a prevalere: la sofferenza è la sofferenza della crescita, delle passioni disattese, delle illusioni che si vedono sfaldare, della ricerca spasmodica e a volte frustrata, delle convinzioni costrette a cambiare. La sofferenza presente in Esbat e Sopdet è soprattutto sofferenza naturale, fase di un percorso di maturazione intrinseco alla natura in vista del raggiungimento di una maturità. Sotto quest’ottica risulta chiaro come la sofferenza simboleggi proprio la quotidianità di un percorso il cui fine è il raggiungimento di uno status altro rispetto a quello di partenza, raggiungibile solo attraverso la messa in discussione di sé e dei propri valori o certezze.
Accanto all’elemento serio, esiste anche una lettura ludica. Con il nome di tau, infatti, si designava nell’antica Mesopotamia un gioco da tavolo la cui plancia ricorda la raffigurazione grafica della lettera e considerato assieme al senet (gioco da tavola dell’antico Egitto) l’antenato del backgammon. L’elemento del gioco ricorre anche nei romanzi di Lara Manni, costituendo un’ulteriore suggestione fonica del suono t. Un po’ gioco di strategia un po’ gioco di abilità, un pizzico di gioco di ruolo e un pizzico di gioco d’azzardo Esbat, ma soprattutto Sopdet sono il prodotto di una raffinata miscela di strategie e tattiche che si ingarbuglia pagina dopo pagina, parte collaborando parte ostacolandosi. C’è il gioco primordiale, innanzitutto, l’idea di una realtà in balia di un caos primigenio che non è semplicistica confusione, ma realtà in continuo divenire formata da corpi che incorrono costantemente in accidenti, per usare una definizione aristotelica, da cui si possono generare infinite situazioni. Se sullo sfondo permane una sorta di rivisitazione di grande gioco di kiplingiana memoria, spersonalizzato ed eterno, esistono anche i singoli giocatori: ora semplici pedine ora fanti ora torri ora re (o regine). L’elasticità del ruolo svolto e la capacità di ridefinire se stessi costituiscono, infatti, la cifra dell’elaborazione dei personaggi creati da Manni. Il ruolo svolto non è sempre definito, a ben vedere, e non sempre è il personaggio a mutare il proprio ruolo con piena consapevolezza. É, anche questo, un procedimento in itinere, da rintracciare nella trilogia nella sua interezza: in Esbat il gioco delle parti è ancora embrionale. Importante; ma dai confini ben definiti, quasi netti. In prospettiva, è ancora un abbozzo, il nucleo di un’idea che in Sopdet raggiunge la sua massima espressione: da semplice gioco a vera e propria masquerade.
Ancora.
Con il nome di tau, dall’omonima diciannovesima lettera dell’alfabeto ellenico, la lettera t è stata definita anche come il Sigillo del Dio Vivente nell’Antico Testamento e dagli esoterici oppure Albero della Conoscenza, spesso raffigurata con un serpente avviluppato al braccio più lungo. Veniva tracciata sulla fronte degli iniziati e durante le consacrazioni, non solo cristiane o esoteriche, sottolineandone la valenza di simbolo universale custode inviolabile di segreti. Proprio l’elemento del serpente riveste una curiosa particolarità soprattutto in relazione al legame che da sempre il rettile stringe con l’elemento femminile. Che si tratti di Galadriel, il serpente che tento Eva nel giardino dell’Eden, di Erittonio accovacciato nello scudo di Atena o semplicemente dell’animale ctonio per eccellenza, il serpente presenta una grande ricchezza a livello simbolico e una molteplicità di significati, con adamantina, in tutte le civiltà, la valenza di essere primordiale, serbatoio pulsionale e generatore di energie. La complessità dell’approccio può essere semplificata in una divisione di massima in due elementi: come portatore di valori positivi il serpente rappresenta l’essere primordiale, il perpetuo ritorno (ouroboros), la rigenerazione raffigurata nella muta e l’energia (la Kundalini); come portatore di valori negativi incarna, invece, il tentatore, il demonio, le forze infernali, la perversità, la malignità e la seduzione.
Di serpenti in Esbat e in Sopdet non ce ne sono. Non serpenti appartenenti all’ordine dei rettili, almeno. Ma esistono serpenti nascosti: esiste un erotismo ambiguo, intenso e pericoloso, incarnato sia dalle figure demoniache sia dalla componente umana e soprattutto dalla reciproca interazione. Esistono anche altri elementi, come l’idea della rigenerazione e del ritorno, espressione simbolica della femminilità stessa. Serpente per eccellenza, sia nelle sue valenze positive sia negative, in Esbat e ancor più in Sopdet è Axieros. La dea ricreata da Lara Manni derivandola da vari mitologemi proprio del bacino mediterraneo e del vicino Oriente è dea creatrice nel senso pieno della femminilità: madre, amante, sorella, assassina, morte. É il vertice, l’inizio, il principio: lei tira le fila, lei comanda, lei seduce, provoca, affascina. E ride. E il suo aspetto sono le sue azioni. Rivisitazione moderna della grande madre è il vertice di un triangolo, con accanto i suoi paredri: Hyoutsuki e Yobai. E come potnia presenta in sè tre volti: uno celeste, uno terreno e uno ctonio. La natura triplice della dea, così com’era per le grandi divinità femminili dell’antichità e come viene ripresa in vari culti neopagani, ricorre in modo insistito anche nei romanzi di Lara Manni che, a buon diritto, si possono definire corali: un coro di voci soprattutto femminili. Dall’adolescenza alla piena maturità fino alla vecchiaia: le donne di Manni non sono statiche, ma ripropongono una galleria di ritratti delle vasi della vita, prive però di fissità o ieraticità. La loro icasticità risiede proprio nella fluttuazione e nel divenire che le caratterizza. Axieros è la prima donna, uno dei fulcri dei tre romanzi, ed è presente in scena anche nel silenzio del suo nome. La Sensei, Ivy, Misia, Adelina, solo per citare le più famose, ne sono un’ipostasi: la passione, l’adolescenza, il misterioso, la maturità sofferta. Sono Axieros in un suo elemento, e sono altro, donne con le loro angosce, i loro dubbi, le loro personalità sfaccettate un po’ ingenue un po’ astute, infantili e maliziose.
Forse quella t che ricorre nei titoli allude anche a questo: alla triplicità, ai tre volti che convenzionalmente caratterizzano i mitologemi femminili. É una concezione archetipica delle mitologie soprattutto indoeuropee, diffusa dagli studi di Robert Graves in primis e da altri fra cui Jane Ellen Harrison, A.B. Cook, George Thomson, Sir James Frazer, Robert Briffault e Jack Lindsay, per tacere di studiosi di psicologia degli archetipi come Karoly Kerèniy e C.G. Jung. Lara Manni ha pescato con eleganza e attenzione da questo amalgama variegato, in un procedimento sincretico teso a intrecciare universo orientale e occidentale. La compenetrazione, infatti, è un altro dei temi caldi che percorrono i romanzi. In Esbat vengono a intrecciarsi piani paralleli, universi paralleli per la precisione: il mondo umano e quello demoniaco. Il fatto che la collisione fra questi due mondi sfiori la sfera dell’onirico, del fantastico e della realtà contingente non è secondario, ma semplicemente connaturato all’elemento sovrannaturale che caratterizza uno dei due piani di azione. Il cortocircuito così provocato apre a infinite possibilità, ma la sfera d’azione è sempre e ancora il presente o al massimo una realtà in cui il tempo non ha valore come concetto intrinseco.
L’idea di un multiuniverso, inteso come insieme di universi coesistenti e prodotto da alcune teorie scientifiche, è presente nella letteratura fantastica come elemento topico, che però Lara Manni ha saputo rivitalizzare passando da semplice espediente d’ambientazione a vera e propria cosmogonia. L’universo così creato in Esbat non è lasciato indefinito, con vaghi retaggi e suggestioni nipponici, benché il tutto appaia legato a un piano di realtà contingente al presente. É con Sopdet, di nuovo, che la narrazione diviene più complessa e il procedimento di compenetrazione continua su più livelli: non più solo spaziale, ma anche temprale, intrecciando la narrazione e il presente del romanzo con la storia, in special modo la storia italiana. I mondi tornano in contatto come in Esbat, ma non è più uno sfiorarsi ridotto a pochi istanti elemosinati con il sangue o la fugacità incerta di un incontro onirico; in Sopdet il genere fantastico esprime la sua più primordiale e intrinseca definizione: l’anormale che irrompe nel normale, nella quotidianità. Nella storia. La compenetrazione è avviata: una fusione complessa e completa, che giungerà a piena maturazione in Tanit, proseguendo nel presente il processo di interscambio duraturo di mondi paralleli.
Compenetrazione, si è detto. Il fonema t, quindi, è portatore anche dell’idea di contatto fra realtà altrimenti destinate a rimanere separate. T come il simbolo embrionale della croce, come il disegno quasi graffiato sugli stendardi strappati di quell’iter puerorum che vive a confine fra realtà e leggenda. T come la prima croce, raffigurazione dell’incontro della realtà empirica con quella trascendentale, unione di mondo terreno e spirituale. In ambito cristologico la sua ricorrenza è molteplice, sia come elemento magico-esoterico sia quale semplice simbolo religioso: fu adottata dal profeta Ezechiele, da Sant’Antonio eremita, da Francesco d’assisi e da papa Innocenzo III, feroce sterminatore di Catari che, a loro volta riconoscevano il valore simbolico della croce. Ma è simbolo anche ricorrente in sette gnostiche, in movimenti ereticali come quello degli Spirituali e da organizzazioni poste sul confine fra ufficialità e esoterismo. Cosa c’entra l’elemento spirituale con Esbat e Sopdet? Una componente di spiritualità è rintracciabile anche nei romanzi di Lara Manni, ma non da un punto di vista accademico. Non è religione, sia chiaro: è piuttosto una riflessione sul trascendente e su alcuni stereotipi letterari legati al patrimonio culturale europeo, ma anche mondiale. Di conseguenza, la spiritualità presente nei romanzi non è classificabile, sfiorando lettura agnostica senza alcuna volontà di esprimere un giudizio al riguardo. Ci sono divinità, nei lavori di Lara Manni; ci sono uomini. E ci sono demoni.
Forse è proprio qui una delle ricchezze di questa trilogia: la scelta di indagare, di interrogarsi su un elemento, quello demoniaco, partendo dalle sue origini. In Occidente: la Grecia. Una lettura in parallelo, per certi aspetti, quella compiuta da Lara Manni, ricercando analogie e differenze che intercorrono fra daimones e youkai: due modi di percepire il sovrannaturale, quasi manifestazione animistica e intermediaria fra mondi diversi e fra loro slegati. É il concetto stesso di demone a uscire innovato, filtrato attraverso un nuovo e personale approccio, dalla trilogia di Manni: non più semplice riduzione a opposizione di un’entità luminosa, a un Bene supremo, ma qualcosa di nuovo che è anche un ritorno all’antico, alle prima percezione qual era quella di intermediari. Per Lara Manni i demoni sono a metà strada fra l’umano e il divino, partecipi dell’ordine naturale del mondo da cui derivano una sorta di indifferenza che sfiora l’apatia. Eppure sono in evoluzione, devono evolversi, proprio in virtù dell’interazione con il mondo terreno, pur restandone separati. É l’idea dell’alterità, di qualcosa di proibito e desiderato, di una fame che è conoscenza, rischio, volontà e seduzione. Soprattutto seduzione nelle sue componenti erotiche, fisiche e mentali. Una seduzione che, è bene ricordarlo, non si sviluppa solo ed esclusivamente sul piano fisico, ma investe la componente intellettuale fino ad esser vivisezionata per concentrarsi sulle sue varie sfumature: la seduzione del potere, quella dello sconosciuto e dell’ignoto, la seduzione del desiderio inteso come propria precipua volontà. E ancora: sono seduzione l’indifferenza, gli affreschi storici condotti in punta di piedi, le pennellate di mitologia e leggende. É seduzione anche l’omicidio, che sottende tutto il primo romanzo, sospeso fra ritualità e degenerazione mentale. É seduzione tutto Sopdet: un lento estenuante inconsapevole, sotto certi aspetti, gioco al corteggiamento. Ed è altro: una lusinga mentale, un desiderio che percorre come un’eco i libri e spinge a chiedersi fino dove, fino a che punto gli dei, i demoni e gli uomini possono spingersi; fino a che punto sia lecito spingersi. E interferire.
T, dunque, è il fonema di partenza per Lara Manni, il suono da cui ha preso avvio un ritornello all’apparenza solo ludico. Ma è anche la fine, l’omega della trilogia; e non solo come valenza simbolica letteraria. Il suono t è effettivamente l’ultima lettera di un alfabeto, quello ebraico, corrispondente al numero zero o all’infinito secondo una lettura che rimanda alla qabbalah e che affonda le sue motivazioni nelle origini cananee e mediorientali. Simbolo di evoluzione, come ventiduesima lettera dell’alfabeto semitico, la tau viene considerata un riferimento simbolico alla perfezione e al raggiungimento del proprio fine, al pari della lettura allegorica riservata all’omega greca. Secondo la tradizione sinaitica t è la prima lettera che si presentò a Dio quando questi era intento a creare il mondo, dicendogli: Signore dei mondi, ti piaccia servirti di me per fare la creazione del mondo, poiché io sono la lettera finale della parola Emet (=verità) che tu porti incisa del Tuo sigillo”. E a questa lettera Duo avrebbe risposto: Tu ne sei degna, ma non è opportuno che io mi serva di te per la creazione del mondo, perché tu sei destinata ad essere scolpita sulla fonte degli uomini che hanno osservato la legge dell’Aleph fino al Tau e ad essere così unita alla morte, anche perché tu formi la lettera finale della parola Met (=morte). Il gioco di parole fra emet e met non è nuovo nella letteratura, risalendo fino alla leggenda più illustre dell’automa di Praga costruito rabbi Loew. Ma di golem, o meglio di una sua miscellanea declinazione, si parla anche in Sopdet, mescolando il folklore arabo con l’assonanza terminologica e rivisitando il tutto in una chiave di dipendenza padre-figlio o creatore-creatura dal sapore fantastico e freudiano assieme.
Ma t è anche la conclusione, si è detto: il compimento. Non è probabilmente un caso che tutti i titoli della trilogia di Lara Manni terminino con il fonema che si sta analizzando e, soprattutto, che Tanit si apra e si chiusa con il medesimo. C’è l’elemento ricreativo, va bene; c’è anche una componente inconscia. Ma è proprio nelle suggestioni inespresse, di cui si prende consapevolezza solo in un secondo momento, che diparte una chiave di lettura forse un po’ arbitraria, di certo affascinante. Perché, effettivamente, l’obiettivo dei tre romanzi è quello di costituire un unicum narrativo e omogeneo, in cui la singola parte – il singolo libro – si incastra alla perfezione pur restando un’entità autonoma autoconclusiva.
T come inizio e come fine, apertura e chiusura. T come un cammino che non porta materialmente da nessuna parte, e interiormente prevede il cambiamento, una sorta di rivoluzione radicale. T come Esbat, da cui tutto inizia, e come Tanit, in cui tutto trova il suo equilibrio. Non definitivo, non inalterabile. Momentaneo. Ma equilibrio. E maturazione. Compimento, appunto.
Si potrebbe parlare ancora dei vari ritorni che la tau trova all’interno dei libri di Manni, come la ricorrenza allegorica del tre, in una concezione trinitaria che si dilata verso la ripetizione infinita. A tre sono sempre le relazioni cruciali: Axieros, Yobai e Hyoutsuki; Hyoutsuki, Sensei e Ivy; Ivy, Axieros e Sensei prima e Adelina poi; Yobai, Hyoutsuki e Ivy; Misia, Lea e Vittorua; Misia, Ivy e Johann. Solo per esplicitarne alcuni; e per tacere delle valenze sottese in questi rapporti.
Si potrebbe parlare del valore che il tre possiede in sé, quale simbolo maggiore oggetto di ampia venerazione e legato ad un valore unificante universale: è il prodotto, il parto derivato dall’unione di due elementi. É la fine di Tanit con la sua apertura, il suo continuo non ancora definito in modo chiaro. É il triangolo dai vertici caleidoscopici, in perenne sostituzione per creare una storia. Ancora: si potrebbe citare il ritorno che il tre ha nella religione Wicca, presente soprattutto in Esbat: la ritualità, i cerchi, i volti della Grande Dea adorata, le fasi lunari raffigurate nella triquetra. Si potrebbe parlare della valenza etimologica di Sopdet, la stella Sirio della costellazione del Cane Minore: il suo legame con la morte in connotazione luministica e di calore, la relazione con le Sirene e con la conoscenza e un potere che irretisce ed è seduzione che porta alla morte. Ma anche la sua lettura apotropaica, di rinascita solo attraverso la sofferenza dell’esperienza, del viaggio trascendente. Si potrebbe parlare a lungo delle suggestioni, degli omaggi, delle riscritture che sono la peculiarità nascosta e godibilissima del lavoro di Lara Manni, e ancora resterebbero zone d’ombra, passaggi mantenuti sotto silenzio.
In conclusione la t, con i suoi rimandi allegorici che intrecciano religione, cultismo ed esoterismo, è solo una chiave di lettura, una delle tante possibili. É soprattutto suggestione fonica, un eccellente esempio di associazione mentale sviluppatasi partendo da un sostrato culturale comune alla realtà occidentale. La dimensione inconscia in Lara Manni non è veicolata tramite le parole, ma le immagini, i topoi letterari e le loro riscritture. É simbolo di contenuti diluiti nei romanzi, fulcri tematici della narrazione che si esplicano solo con il tempo e la pazienza, diventando coscienti e concreti per necessità interpretativa.
La codifica simbolica, tuttavia, non è la necessità, ma solo un mezzo; uno dei tanti praticabili. Esbat, così come Sopdet e Tanit non sono testi iniziatici o misterici, ma sono permeati di un fascino sottile di misterico e trascendente. Ignorarlo non ne compromette una fruizione godibilissima; ricercarlo apre ad una lettura che dona ad un trilogia di difficile collocazione nel panorama (abusato e riduttivo) dei generi letterari un guizzo ulteriore e gli riconosce il profondo e complesso lavoro di Lara Manni, distribuito con apparente leggerezza, con un’immediatezza fresca e frizzante, dai tratti ora morbidi ora graffianti.
T come traduzione, quindi.
Traduzione di concezioni, di suggestioni foniche, di pensieri elaborati e nati da riflessioni e confronti; traduzione in romanzo di un lavoro complesso e lungo, raffinato. Traduzione di valenze antropologiche e apotropaiche, di rimandi culturali atavici e primordiali.
T come traduzione. Dal significato latino traduco come far passare, portare avanti, proseguire. Esbat, Sopdet e Tanit in fondo sono questo: il prosieguo moderno del retaggio antico-mitologico della nostra cultura, con le sue paure, le sue ombre e le sue luci, con i suoi interrogativi e le sue pulsioni. E le sue suggestioni racchiuse anche in un singolo fonema: t, l’inizio e la fine.



Mila Magnani
Febbraio 2011