Immaginiamo che la parola fine sia stata scritta. Dall'autrice del manga in persona. Immaginiamo anche che il finale sia in linea con la tradizione: i buoni vincono, il male viene sconfitto...[1]

 

Una premessa. Accattivante. Non tanto perché prende avvio dal topos consolidato dell’happy ending, ma perché coinvolge in prima persona, nelle sue trame, l’autrice stessa del manga, la Sensei.
Fin dalle prime parole, Lara Manni, autrice esordiente con Esbat, crea un orizzonte d’attesa che si adatta egregiamente alle normali aspettative di lettrici e lettori: il bene vince, il male è sconfitto. Tutto regolare. Tutto normale. Invece, bastano pochi paragrafi, pochi capitoli, per respirare un’atmosfera che nulla ha di ovvio e scontato. La storia, con tinte cupe e drammatiche, capace però di aprirsi in respiri ampi che alleggeriscono la tensione salvo poi ridiscendere a picco nella suspance, cambia continuamente in una trama lenta e articolata su molteplici piani spazio-temporali e narrativi.
I personaggi si susseguono, mai semplici macchiette, sempre comparse definite e precise, tagliate nell’inchiostro anche se occupano la scena solo per poche battute, se si risolvono in apparizioni fugaci. Accanto ai personaggi, ambientazioni che sono specchio del pensiero, dell’interiorità, di un mondo mentale che muta in relazione al suo ideatore. Al demiurgo che, di volta in volta, appare sulla scena.
Approcciarsi a Esbat è affatto facile, perché c’è sempre il rischio di traviare, di ignorare un particolare, un dettaglio altrimenti fondamentale. Qui più che altrove, dove allusioni, omaggi e riferimenti seminati con maestria costituiscono la fitta trama su cui si innesta una storia che oltrepassa le righe.
Esbat non può definirsi semplicemente una storia. Troppo complessa la trama che si viene a creare, arricchita di costanti riferimenti al mondo cinematografico, letterario e neopagano. Appare piuttosto come un viaggio, la riflessione personale, ma mai esplicita, di Lara Manni sul mondo fantastico, sul web e sulla realtà quotidiana e su un loro possibile intersecarsi.
Con ordine.
Esbat prende avvio dalla fine. Dal momento esatto in cui il manga è concluso, con soddisfazione della mangaka e scontento da parte di un personaggio. Perché è proprio l’happy ending la causa scatenante della narrazione. La felice conclusione con il Demone che si ravvede e arriva a sposare la bimba, ormai cresciuta, che ha allevato, disgusta in primo luogo il diretto interessato. Perché Hyoutsuki-sama, come avrà modo lui stesso di spiegare nel corso della narrazione, non è semplicemente un personaggio di fantasia. È, esiste, e abita in un altro mondo, un altro universo che Lara Manni non definisce perfettamente, lasciando il sapore dello sfumato, dell’ambiguo.
Sarà il desiderio di rivalsa, di vendetta, a spingere Hyoutsuki-sama a praticare un esbat [2] ed entrare nel mondo umano. Per riprendere la sua stessa dignità; venendo, suo malgrado, coinvolto in un gioco ancora più grande, di cui la mangaka era solo una delle innumerevoli, infinite pedine esistenti. Un gioco creato e portato avanti da un Dea, Axieros, e cui partecipa anche, sebbene non sempre sia chiarissimo con che ruolo, il nemico per antonomasia nel manga: Yobai. Novello paredro, pur non venendo cementato in questo ruolo, Yobai è l’ideale traid d’ounion del romanzo, con la sua esistenza spezzata e in bilico fra due mondi.
Di capitolo in capitolo, la storia intreccia il mondo sovrannaturale dei demoni con quello umano del presente, coinvolgendo in un complesso gioco a incastro personaggi che altrimenti non avrebbero altro in comune. E si passa dal mondo nipponico a quello quotidiano italiano, con il coinvolgimento diretto nella narrazione di elementi tecnologici quali messenger o forum, per poi riappuntare l’attenzione sul processo magico per eccellenza della creazione attraverso il disegno, rinnovando il topos della scrittura quale fonte di realtà.
Accanto alla Sensei e al suo personale rapporto con Hyoutsuki-sama, un rapporto che scorre sul filo dell’autodistruzione e del desiderio morboso, si delineano altri rapporti, nuovi collegamenti e nuovi personaggi che convergono sempre, in un modo o nell’altro, sulla figura del Demone. Il menage a trois che si delinea sullo sfondo fra Houtsuki-sama, Yobai e la Sensei/Dea vede presto, infatti, l’aggiunta di un quarto “membro” capace di destabilizzare gli equilibri (labili) che si stavano delineando: Ivy. Una ragazzina che irrompe sulla scena con la sua carica di incertezza, incomprensioni e con un potere troppo grande e di cui non ha ancora coscienza.
Ma il pregio di Esbat non risiede unicamente in una trama ricca e complessa.
Oltre ad uno stile di scrittura fluido e scorrevole, in cui l’impiego di parentesi, corsivi e il passaggio senza segni evidenti dal discorso indiretto al discorso indiretto libero contribuiscono a creare empatia nel lettore, punto di forza è l’approfondimento psicologico che Lara Manni riserva ad ogni singolo personaggio introdotto, dai protagonisti alle apparizioni fugaci. La mancanza di descrizioni fisiche o la loro rapidità là dove sono presenti non costituiscono rimpianto; al contrario, contribuiscono a far emergere dalla sola personalità luci e ombre dei vari personaggi.
Se una particolare attenzione è riservata alla complessità delle figure di Yobai e Houtsuki-sama, analizzate nelle loro affinità e diversità, scavando nella mente mettendone in luce virtù, difetti, caratteristiche e manie, allo stesso modo risulta estremamente godibile e interessante l’analisi psicologia che è offerta soprattutto della Sensei e Ivy. La donna e la ragazza, la passione e l’amore infantile: due figure femminili che assommano in sé gli elementi salienti della donna per antonomasia, fissandole in due istanti della vita (la giovinezza e la vecchiaia) senza tuttavia cristallizzarle. L’evoluzione è presente in una storia in cui lo scorrere del tempo è relegato in fondo e si affida unicamente al mutamente personale dovuto a convenienza, progetti o esperienze vissute.
Esbat scorre in modo altalenante, con accelerate adrenaliniche che si spezzano nel momento clou e spaccati mentali che dilatano la narrazione permettendo il defilarsi di un orizzonte d’attesa che, a sorpresa, può essere facilmente sconvolto.
Non semplicemente storia d’amore o di ricatto, Esbat si svela come il confronto di due (o più) diversi modi di sentire e percepire il mondo, i valori e gli elementi che costituiscono quello che viene chiamato orgoglio. Una complessità di sentire sottolineata dai frequenti cambi di punto di vista, dall’impiego di una narrazione che ora prosegue col lettore ora si concede ellissi, analessi o prolessi ed è inframmezzata da citazioni più o meno velate all’arte e a libri, film, autori antichi o contemporanei, elementi religiosi espresse in modo indiretto o con una nomenclatura tecnica che non stona comunque, trovando una sua armonica collocazione nel tutto.
Un romanzo adulto, in conclusione.
Il prodotto di una lunga, attenta rielaborazione di riflessione e conoscenze, ricamato dal gusto per una narrazione di tipo kinghiano (frequenti i riferimenti all’autore americano che l’autrice adora) e capace di interessare non necessariamente solo gli appassionati del fantasy per il coinvolgimento di varie dimensioni, ma anche per il lungo e complesso lavoro fatto sull’analisi psicologica di demoni e creature altre rispetto all’uomo.

Note
[1] Dall’introduzione alla storia stessa
[2] Esbat: pratica religiosa neopagana collegata al ciclo lunare




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