Autore: Avalon9
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale
Personaggi Principali: Shinichi Kudo; Heiji Hattori
Altri Personaggi: Ran Mouri e Kazuha Toyama come guest star
Rating: giallo
In proposito: Fa male, vero? Non è giusto. E fa male. E, in fondo, lo sai che la colpa è tua. Solo tua. E ci preferiresti essere tu, in quel letto. E ti andrebbe bene ascoltare e ascoltare e sapere che, in fondo, quello che ti dicono sono tutte bugie. Perchè non sei stupido e di medicina, almeno un po', te ne intendi anche tu.
Un piccolo confronto fra Heiji e Shinichi: il loro rapporto, la sua evoluzione. I dubbi, le paure, le certezze. Con, incombente, un terrore che non si vuole affrontare e con cui bisogna confrontarsi ad ogni (ultima) parola.
Disclaimer: i personaggi sono di Gosho Aoyama; la situazione invece la rivendico mia^^
Cose: Dunque. La prima fan fiction che scrivo, in questo fandom. E la lascio incompiuta, in un certo senso. Perché, io per prima, so che non si capisce esattamente se il trapianto necessario a Heiji avverrà o meno o se (come dice Shinichi) morirà. Ma ho voluto così; ognuno è libero di leggere soprattutto le ultime battute come maggiormente gli aggrada: realtà, ricordo, illusione, paura, realtà traslata (o metaforica, che dir si voglia). In definitiva, nello scrivere questa fanficion, mi sono accorta che non mi interessava la conclusione in sé, ma il processo per arrivarci. Mi interessavano (stimolavano) le situazioni che potevano crearsi, i dialoghi che Shinichi e Heiji potevano fare in ospedale, in attesa del trapianto, e i collegamenti retrospettivi che avrebbero potuto creare. Adoro Heiji e Shinichi; e li adoro in coppia. Credo (temo) che il loro rapporto sia uno dei più belli, complessi e sfaccettati in cui finora mi sia imbattuta in un anime/manga. Mi sono divertita a invertite le parti, in un certo qual modo. Di solito, è Shinichi il pessimista, quello rassegnato (non in senso assoluto, sia chiaro); mentre Heiji ha dalla sua una carica di entusiasmo e vitalità splendida. Qui, invece, mi sono chiesta: e se per una volta fosse Heiji a non confidare più? In definitiva, è lui quello disteso in un letto d’ospedale; è lui il nome in una lista di mille altri. Penso che in un simile contesto Shinichi sarebbe disposto ad accantonare la logica e la razionalità per il solo intento di poterlo rasserenare almeno un po’. Nove quadretti, in tutto. Nove rimpianti o ricordi o testamenti che Heiji ha o vorrebbe lasciare. Nove piccoli spaccati senza alcuna pretesa del suo rapporto complicato con Shinichi Kudo. E sulla sua ferma decisione di essere, comunque, sempre dalla sua parte, al suo fianco.


 MShoin Monogatari

Racconti di studio

Ehi, Hattori.

A te…non è mai capitato…di uccidere qualcuno?

(Shinichi Kudo, Volume 16 file 2)

Fa male, vero?

Non è giusto. E fa male. E, in fondo, lo sai che la colpa è tua. Solo tua. E ci preferiresti essere tu, in quel letto. E ti andrebbe bene ascoltare e ascoltare e sapere che, in fondo, quello che ti dicono sono tutte bugie. Perché non sei stupido e di medicina, almeno un po’, te ne intendi anche tu.

Ma le ascolteresti lo stesso, quelle bugie. E non ti interesserebbe perché.

Perché è bello, in fondo, ogni tanto sperarci, in qualcosa di diverso. Perché, per una volta, la verità la si può dimenticare.

Ci dovresti essere tu, in quel letto. Vero, Shinichi?

O forse non dovrebbe starci nessuno. Anche se (è vero) la colpa di tutto è stata tua. Perché ti piaceva (giusto?) giocare al detective. E alla realtà (diversa. Pericolosa) non ci pensavi. Ti divertivi; ed era come nei libri.

Ragiona; ragiona; ragiona.

Ti divertivi; e ai pericoli, a quelli veri, non ci avevi mai pensato prima (seriamente). Perché il libro lo puoi riaprire; perché il libro ricomincia e tu, di nuovo, cerchi e cerchi e cerchi. E se la soluzione scappa non importa. Tanto c’è tempo; c’è sempre tempo (nei libri).

Era un gioco, per te, Shinichi. Un gioco serio.

E in qualcosa di serio (un gioco) ci sei caduto. E no, di tempo non ce n’era più. C’era la paura, la ricordi Shinichi? Tanta paura. E c’erano le bugie.

Hai imparato a dirle bene, le bugie. Giusto, Shinichi?

E lui le ha scoperte. Ma – forse – volevi che lo sapesse, giusto? Volevi guardarlo negli occhi e potergli dire: watashi wa Shinichi Kudo desu.

E quella volta, mentre lo guardavi, mentre la voce se ne stava lì, nella gola con un vecchio respiro addormentato; mentre ti chiedevi perché e forse la risposta la sapevi, ma non ci volevi credere nemmeno tu; mentre lui aspettava e – lo sai; ne sei sicuro – ci godeva nell’averti lasciato senza parole; mentre pregavi e pensavi e sapevi che una soluzione non ce l’avevi. Quella volta (lo sai bene, Shinichi), quella volta non hai avuto paura.

Perché Hattori sorrideva (maledetto) e ti prometteva: sarà un segreto nostro.

[ # Negativo 1]

“Mi sarebbe piaciuto vederla”

“Cosa?”

“Casa tua. Alle Hawaii”

“La vedrai”. Il libro (pesante) sul comodino e quel sorriso – falso; ma per una volta si può mentire anche a lui, no?. “La vedrai” ripete (triste) convinto.

“Lo credi?”

“Hai”

Gliene hai parlato tanto (troppo).

Gliel’hai fatta immaginare, quella casa. E Hattori – lo sapevi, Shinichi – è curioso. E di vederla, quella casa, ne ha sempre avuto voglia.

Ti piaceva provocarlo, vero Shinichi?

E una sera gliene hai parlato; te ne ricordi Shinichi?

Mentre l’engawa era tiepida e il kayaributa fumava; mentre le pagine si sfogliavano e per una volta il tempo lo passavate a chiacchierare senza chiedere se c’era un perché. Aveva insistito tanto, quella volta, Hattori. Perché Sumiyoshi è bella, a Osaka. E aveva voglia (troppa. Pericolosa) di parlare con te. Hattori parlava e raccontava della sua (amata) città. Perché Hattori, con te, (lo sai, vero Shinichi?) voleva condividere.

E tu (bambino) non volevi capirla, quella condivisione. Tu (diviso) avevi paura – ricordi Shinichi? –  di dividere troppo. E di restarci intrappolato, in quelle parole.

Gli hai fatto male, quella volta. E lo volevi, giusto Shinichi?

Perché gli hai detto che Osaka era bella, ma io preferisco le Hawaii. E Hattori (te lo ricordi bene, Shinichi) ti ha fissato e le spalle (grandi; adulte) si sono strette. E hai pensato: acacian.

Ma Hattori le spalle (strette) non le alzava più e tu (adulto) ti sei sentito (per la prima volta) bambino. Perché quella volta la paura (strana) premeva e premeva, ma di scappare non lo volevi. Te lo ricordi Shinichi? E Hattori (zitto) urlava: non allontanarmi.

E mentre l’engawa (tiepida) diventava nera ti sei detto che , (forse) potevi permetterti una promessa così; potevi lasciarlo avvicinare – un po’.

E gli avevi detto che alle Hawaii avevi una casa e un giorno (forse) ci sareste potuti andare.

E Hattori (al buio) rideva e parlava e progettava; e quell’urlo (non allontanarmi) adesso diceva: oki ni.

[ # Negativo 2]

 

 

“Kudo”

“Nani?”

“Il mio cappello”. Gli occhi (stanchi) respirano nel tramonto. E la mano si allunga; e sembra rammarico. “Ricordati la visiera girata. Porta fortuna”

“Prestito, giusto?”

“Lo credi davvero?”

“Hai”

Hattori è geloso del suo cappello.

Lo sai bene, vero Shinichi? Non te l’ha mai fatto toccare. Non lo fa mai toccare a nessuno (una volta te lo ha messo in testa. Te lo ricordi, Shinchi? Ma quella era l’eccezione). E se lo tiene stretto, quel cappello, Hattori.

Ce lo aveva anche quella volta, te lo ricordi? Quando vi siete conosciuti.

E la visiera (porta fortuna) non era dietro. Perché la visiera (che è girata) Hattori la mette al posto giusto, quando ha la soluzione. E ti guarda con quel mezzo sorriso sfacciato e –chissà perché – ti viene voglia di ridere e ridere e dire: hai.

Perché con Hattori è bello giocare. E il gioco (serio) è più divertente.

Perché (Ricordi, Shinichi? Glielo hai insegnato tu) non ci sono vincitore o vinti. E alla fine, era sempre il sorriso di Hattori, la soddisfazione tua e quel cappellino che ruotava e tornava al suo (sbagliato) posto.

Non te lo ha mai fatto toccare, il suo capello, Hattori.

Ma una volta voleva regalartene uno uguale, ricordi Shinichi? Quella volta (forse a maggio, o forse era autunno) Osaka era calda e tu (bambino) il caldo non lo sopportavi più, mentre cercavi e cercavi una soluzione tanto ovvia da scappare. E Hattori un cappellino te lo aveva messo in testa e ti aveva detto: siamo una squadra.

Ma tu il cappellino(la squadra) non l’hai voluto. Perché avevi paura, ricordi Shinichi?

Perché un bambino (tu) non può difendersi, e Hattori a te ci pensava sempre (troppo). E anche la squadra (un cappellino) non la volevi. Ma la desideravi tanto, vero Shinichi?

Alzare gli occhi e vedere quel sorriso. E sapere che Hattori c’era e il suo cellulare potevi chiamarlo quando volevi.

Perché Hattori aveva detto: siamo una squadra. E io ci sarò sempre.

[ # Negativo 3]

“Davvero?

“Hai.”

“Noi due insieme”. La risata (un colpo di tosse) a riempire la stanza (stretta). “Sarebbe bello, Kudo”

“Sarà bello, Hattori”. La mano (fredda) stringe e cerca (disperata) di afferrare, trattenere, fermare. Mentre la tosse (una risata) rimbomba e rimbomba. “Sarà bello”

“Tokyo o Osaka?”

“Dove vorrai”

Hattori ha quel sogno da tanto.

Non te lo ha mai detto, quando ha iniziato a sperarci. Ma (lo sai, vero Shinichi?) quello di Hattori è un vecchio sogno. Ma lui no, non lo chiama così. Hattori dice: progetto.

Perché Hattori ne ha fatti molti, di progetti; ne ha tanti.

Ma quello l’ha pensato per (con) te.

E a te non dispiace, vero Shinichi?

Era stato un gioco, nato così. Mentre il mento (tuo) era sempre più basso e lo sconforto e la paura (hai imparato bene cos’è la paura. Giusto, Shinichi? Troppo bene) salivano e salivano. E un perché non c’era. Avevi imparato a conviverci, con quella sensazione. E avevi imparato (per proteggerti) a non illuderti.

Ma Hattori alle illusioni (sogni) ci ha sempre creduto. E della tua faccia un po’ delusa un po’ arrabbiata non ne voleva proprio sapere. E c’era il kotatsu caldo e due tazze di thè e l’occhiata (pericolosa) di Hattori; e la televisione gracchiava e gracchiava e fuori Osaka era freddo e nebbia.

E (lo avevi percepito, vero Shinichi?) c’era un’aria strana e, mentre alzavi la testa (un po’ delusa un po’ arrabbiata), avevi pensato: sicurezza.

E quel progetto (un’illusione) lo avevi ascoltato; anche se no, non ti eri dato il permesso di crederci. Ma Hattori rideva e rideva e parlava e – lo ricordi, Shinichi? – tu non capivi se scherzasse o se dicesse sul serio. Ma Hattori te lo aveva detto (pericoloso) e in quel progetto (un’illusione) ci crede(va) davvero.

E (in fondo) volevi crederci anche tu, vero Shinichi? E litigare per l’ordine dei nomi sull’insegna, e giocare a rincorrere le soluzioni e sfidarsi anche se sapevi che, in fondo, il traguardo lo tagliavate sempre assieme. E discutere di libri e di casi e poter costruire di nuovo qualcosa.

Lo desideravi, vero Shinichi? E a Hattosi hai detto: hai (anche se di illuderti non ne volevi sapere).

E Hattori sorrideva e ripeteva: la nostra agenzia.

[ # Negativo 4]

Non lo detestavi, Kudo?”

“Cosa, Hattori?”

“Ellery Queen”

“Infatti”. Il sorriso (malinconia) si nasconde dietro il libro, mentre gli occhi (addormentati; ma non importa. Resta ancora un po’) si stringono strizzano. “Ma a te piace, no?”

“Aho no Kudo”

“Domo. Vado avanti a leggere?”

“Hai”

L’accento di Hattori è diverso.

Sembra una risata. E ad Hattori ridere piace(va); te lo ricordi, Shinichi? Hattori (l’accento) è diverso. E tu – lo hai sentito, vero Shinichi? – ci vai d’accordo.

Perché con la risata (Hattori) ci puoi parlare e non ridacchia e non sbuffa e non si arrabbia; con Hattori (ridendo) fai discorsi seri.

Hattori serio non lo sembra mai, ma tu la sai, Shinichi, la differenza. Perché non è difficile, alla fine, parlare con Hattori. E è bello (ma non glielo dici mai, vero Shinichi?).

E ad Hattori piace parlare con te. Perché si diverte – lo sai – con il suo dialetto diverso. E le risate (osakaben) continuano e continuano.

Hattori rideva anche quella notte. Mentre i petali scendevano; mentre il futon (caldo) era stretto; mentre le parole erano sussurri. Hattori parlava e raccontava e si confidava e sembrava che fosse sempre stato così. Quella notte (era aprile), mentre la maglia di Hattori era larga; mentre gli occhiali erano dimenticati sotto un cappellino. Quella notte – lo ricordi bene, Shinichi – Hattori aveva riso (senza le parole) e tu (bambino) avevi riso con lui.

Perché Hattori ti punzecchiava e ti sfidava e ti provocava. Ma la risata (un accento) ti sussurrava: fidati.

 

[ # Negativo 5]

 

 

“Ehi, Kudo”

“Cosa c’è?”

“Kazuha”. Il respiro (pesante) rimbomba. Mentre il sole si taglia nelle tapparelle; mentre gli occhi iniziano (maledetti) a sfumare. “Avrei voluto sposarla”

“La sposerai”. E la voce è un nodo; e resta a gracchiare in gola. Anche se ripete e ripete e ripete: “La sposerai”

“Mi farai da testimone?”

“Certo”

Toyama viene ogni giorno.

Si siede, e parla. Parla e parla e racconta. E a te fa rabbia, vero Shinichi? E fa male. Perché Toyama parla e parla, ma – lo sai – vorrebbe piangere.

E la colpa è tua, giusto Shinichi? Anche se non te lo ha mai detto. Anche se Toyama sorride e parla e a rinfacciarti qualcosa (ma ha ragione, Shinichi) non ci pensa nemmeno.

Hattori è contento, quando viene Toyamasan. E parla e ride e dice (finge): sto bene. Perché – lo hai capito subito, vero Shinichi? – Toyama è preziosa per Hattori.

E Hattori a te (ed eri un bambino) lo aveva confidato.

E c’erano i fuochi d’artificio e una granita in mano; e Hattori apriva la bocca e la chiudeva. E tu (che avevi capito) avevi voglia di dirgli solo: va’ da lei.

Ma c’era il bambù e striscioline di carta e Hattori girava e rigirava la granita e ti guardava (supplicava). Perché aveva paura, Hattori; e lo diceva a un bambino (a te)

Hattori è contento, quando viene Toyama. Ma tu no, vero Shinichi?

Perché lo sai che Toyama è arrabbiata. E la sa anche Hattori, ma sorride. Perché Toyama (che è arrabbiata) viene ogni giorno. E gli dice: guarisci.

Hattori te la ha detto, Shinchi, che Toyama è speciale. Ed era estate e rideva e balbettava e ti aveva detto: dammi un consiglio.

E tu (bambino) gli avevi detto: perché? E della sua risposta – lo ricordi, Shinchi? – avevi (troppa) paura. Perché Hattori scrollava le spalle e ridacchiava; perché Hattori a te i consigli li chiedeva sempre; perché Hattori voleva (sapeva) qualcosa che ti terrorizzava.

Ma un bambino (tu) avevi paura. Anche se Hattori sorrideva e ti guardava e (maledetto) ti diceva: perché sei il mio migliore amico.

[ # Negativo 6]

Non hai da fare, Kudo?”

“Se ti do fastidio, me ne vado”

“Davvero lo faresti?”, Il sorriso (pallido) si accenna; mentre la voce accarezza (forse divertita) una vecchia (complice) sensazione.

“Hai” - Ie.

“Sei sempre stato un pessimo bugiardo.”

“Lo so”

Con Hattori le bugie non funzionano.

Lo sai bene, vero Shinichi? Non sei mai riuscito a convincerlo di una, delle tue bugie – ma eri contento così, ricordi Shinichi?

Con Hattori le bugie (che dovrebbero funzionare) sono inutili. Perché lo aveva intuito subito, Hattori, che qualcosa non era normale. Perché un bambino (tu) non piangeva e non si spaventava; perché tu (un bambino) cercavi e chiedevi e lo guardavi e sembravi dirgli: l’hai trovata, la soluzione?

Con Hattori le bugie non sono servite – mai.

Ma lo hai costretto a dirne tante, di bugie, vero Shinichi? E – lo sapevi – ad Hattori le bugie sono sempre andate strette. I segreti , li sa mantenere, Hattori. Ma le bugie gli restano incastrate nella gola. E tu lo sapevi, vero Shinichi?

Ma Hattori le bugie (e no, non gli piacevano) per te le diceva. E ridacchiava e improvvisava e pensava e inventava. Perché te lo aveva promesso, Shinichi. Mentre la luce si rompeva sul finestrino; mentre la voglia di ridere e di chiedere e la sorpresa erano un mezzo sorriso e quegli occhi (dannati) ti studiavano. Te lo aveva detto, Hattori, e no, non era stata una bugia (perché ad Hattori – lo sai – le bugie non piacciono): non lo dirò a nessuno.

Tu eri bravo, con le bugie, Shinichi. Ma ad Hattori ci hai rinunciato subito, a dirle.

Perché Hattori, le bugie, le schiacciava subito. E, in fondo, avevi bisogno che qualcuno (lui) ti ricordasse chi sei. E lui (non qualcuno) il segreto lo aveva tenuto (anche se le bugie no, non gli piacciono) e ti chiamava e sussurrava: Kudo.

Le bugie – lo ricordi Shinichi? – avevi imparato a dirle bene; anche se a Hattori non piacevano. Ma con Hattori le bugie erano pessime.

Perché (mentre il viaggio scorreva) rideva e ripeteva: non lo dirò a nessuno.

[ # Negativo 7]

“Per quando, Kudo?”

“Settembre”

“È un bel mese.” Il respiro (vecchio) si affievolisce; mentre la mano ricade; mentre il corpo (addormentato) resta immobile. “Vorrei vederlo”

“Lo vedrai. Al tempio”

“Al tempio”

“Hai”

La pancia di Ran è grande.

Mentre la mano (pallida) trema un po’; mentre negli occhi (vuoti) c’è di nuovo qualcosa. Mentre Ran stringe e accarezza quella mano e Hattori di ridere, forse, ne ha di nuovo voglia.

Hattori era contento, ricordi Shinichi?

E c’era il mare in lontananza e il freddo nelle ossa e quel tuo mezzo (fastidioso) sorriso. E avevi voglia di ridere, ricordi Shinichi?

Avevi voglia di ridere e urlare; perché Hattori era venuto – senza avvisare.

Perché Hattori era venuto, quando qualcuno glielo aveva detto. E aveva sorriso e aveva riso e ti aveva stretto stretto – ed era bello, vero Shinichi? – e aveva detto: omedetoo.

Hattori era venuto, e adesso, sulla pancia (grande) la mano la teneva. E cercava e rincorreva e sentiva quel qualcosa muoversi e colpire e fare tutum tutum.

Hattori era venuto, e ti aveva rimproverato e preso in giro. Perché tu (chissà perché) non lo avevi chiamato. Perché quel segreto (che non fa paura) a lui non lo avevi confidato – non subito.

Ma Hattori era venuto e ti aveva detto (pericoloso): ci sarò anch’io, al tempio.

E – la ricordi, Shinichi? Quella bella sensazione – avevi pensato che , ce lo volevi al tempio Hattori.

Perché Hattori rideva e ripeteva: omedetoo.

E faceva progetti, Hattori (che no, non erano illusioni. Ancora). E parlava e parlava e contava (uno, due, tre) i mesi sulle dita. E sbagliava e rideva e ricominciava. Perché, in fondo, davvero non gli interessava, il mese.

Hattori rideva e la mano (che adesso è sulla pancia) non stava mai ferma. Perché Hattori è curioso. E – lo sai, vero Shinichi? – a te si è affezionato molto (troppo).

La pancia di Ran è grande.

E la mano (che non stava ferma) riposa e ascolta. E Hattori ti guarda e (senza avvisare) sorride e dice: omedetoo.

[ # Negativo 8]

Non ti ho mai visto, Kudo”

“Fare cosa?”

“Giocare a calcio”

“Mi vedrai, Hattori”. E le mani stringono e premono e stridono. E la voce (che trema) diventa sorriso (falso). Mentre un pensiero (pallone) rotola lontano. “Mi vedrai”

“Mi insegnerai?”

“Hai”

Hattori odio il calcio.

E te lo ha detto subito, ricordi Shinichi? Hattori, il calcio, proprio non lo sopporta. Perché il pallone (su giù; su giù) non è divertente; perché nel calcio si deve essere tanti. Hattori a pallone non ci ha mai voluto giocare. Perché di amici, per il pallone (calcio) non ne aveva. E (forse) non gli interessava.

Hattori, il calcio (uno stupido pallone), lo detesta.

Ma quella volta – lo sai, Shinchi – il pallone Hattori lo a preso e faceva su giù su giù (il pallone odiato) e ti diceva: non capisco cosa ci sia di divertente.

Hattori il pallone non lo può (vuole) vedere; ma per te ( ed è stata una strana bella sensazione. La ricordi, Shinichi?) lo ha preso. Perché eri triste, e dentro, nella testa, un pensiero pulsava e pulsava e tu (bambino) non lo volevi ascoltare. Perché ti eri ricordato (e faceva paura) che le cose cambiano.

Te lo ricordi bene, vero Shinichi?

La paura (tristezza) che preme e preme e Hattori che (chissà perché) così proprio non ti ci vuol vedere. Aveva paura, Hattori, mentre il pallone (cha va su giù su giù) scappava e rotolava e rimbalzava.

Hattori il calcio lo odia. Ma (baka) per te il pallone lo ha preso e tirato e ci ha giocato (per con te). E – lo sai, Shinichi – di farci brutta figura non gli interessava. Perché Hattori rideva e rideva e (dannato) ti provocava. E hai pensato che (forse) qualcosa che cambia non è sempre male.

E Hattori sorrideva e ti guardava e – te lo sei immaginato, Shinichi? – ti diceva: sai Kudo? Non lo odio più, il calcio.

[ # Negativo 9]

“Ti ricordi akatonbo,, Kudo?”

“Vuoi una komori uta, Hattori?”

“Sei stonato”. Un sorriso (vecchio) guizza pallido. Mentre il sole scende; mentre il caldo è assordante e le cicale (cri cri; cri cri) rimbombano. “E’ stato bello, Kudo”

“Sì; bello, Hattori”

“Shindoi”

“Ci vediamo domani, allora”

“Hai”

Ad Hattori piace il (tuo) violino.

E di sentirti suonare ha sempre voglia; e tu sbuffi e arricci (finto) infastidito il naso. Ma per Hattori il violino lo suon(av)i sempre. Mentre il cappellino gira e gira; mentre ti guarda e (lo sai, vero Shinichi?) sorride e ti dice: ti ammiro.

Il violino (tuo) Hattori lo ama. Anche se di musica non ne sa molto, Hattori; ma ti dice: suona.

E il violino (che ami) ad Hattori lo hai messo in mano e gli hai detto: prova. Perché Hattori rideva e ti guardava e gli occhi (bambino) ti dicevano: ammirazione.

Hattori il violino non lo sa suonare. E tu – lo ricordi, Shinichi? – gli hai dato il tuo (ed era bello, dirgli cosa fare. Era strano) e del gracchiare non ti importava nulla.

Hattori non suona, ma di cantare è bravo.

Ma quella notte no, non è stato bravo a cantare Hattori.

Mentre Ran rideva e scherzava e (forse) non ci credeva ancora, che tu fossi tornato. C’era il microfono che girava e girava, quella notte (forse era giugno forse maggio); e anche tu di ridere e scherzare (dopo tempo) ne avevi voglia.

Perché la paura (hai imparato a conoscerla bene, vero Shinichi?) era passata. Perché qualcuno ti aveva detto di cantare, anche se tu (che il violino lo sai suonare) di stonare non ne avevi voglia.

Hattori di cantare è bravo.

Ma quella notte (forse d’estate), Hattori no, non ha cantato bene.

Perché tu (che bambino non lo eri più) di cantare non sei capace – nemmeno una komori uta (da bambini). Ma Hattori rideva e rideva e cantava e stonava con (per) te. E della figura (brutta) che faceva non gli importava.

Hattori sorrideva, mentre stonava; e lui di cantare era capace. Hattori sorrideva e (complice) ti stringeva (forse la spalla forse il braccio) e diceva: okaeri, Kudo.

[Fissaggio]

Heiji Hattori.

Ventisei anni; nato a Osaka; investigatore privato.

Diagnosi: trauma toracico grave con contusione cardiaca.

Sopraggiunte complicazioni nel tempo; sviluppo miocardite.

Cura: trapianto. Urgente.

Hattori è cocciuto (e tu lo sapevi, Shinichi).

Hattori è cocciuto, e quella sera (quanti anni?) a casa del dottor Agasa c’era. Ed era arrabbiato, Hattori, e tu (falso) gli hai sorriso e gli hai detto: che ci fai qui?

Era arrabbiato, Hattori, quella sera. Perché volevi tagliarlo fuori, te lo ricordi Shinichi? Ma di restarsene fermo a guardare (te. Che ti fai ammazzare) Hattori non ne aveva voglia. E tu lo sapevi che a fargli cambiare idea non ci saresti riuscito.

Hattori ti guardava, quella sera, e di ridere e scherzare non ne aveva voglia. E l’accento diverso (era una risata) – lo hai sentito, Shinichi – ti ha fatto male. Perché Hattori ti guarda e quegli occhi (avviliti) urlavano: perché?

E tu (bambino) hai fatto l’adulto e hai detto: riguarda me.

E – te lo ricordi bene, Shinichi. – Hattori (per l’unica volta) era davvero arrabbiato con te. Mentre il cappello scivolava a terra; mentre la bocca (era un sorriso) restava senza parole; mente (lo vedevi) Hattori ti guardava e ti guardava e – lo sapevi – a quello che avevi detto non ci voleva credere.

Hattori era arrabbiato, quella sera.

Perché tu (lo sai, Shinichi) gli avevi fatto male. Perché tu (un bambino) di lui non ti fidavi. Perché Hattori a te si era affezionato tanto (troppo) e tu, dentro, la sentivi, la paura che pulsava e pulsava e ti urlava: mandalo via. Perché Hattori (che a te si era affezionato) in quel gioco (grande e brutto e pericoloso) non c’entrava.

Ma Hattori (cocciuto) non ti aveva ascoltato.

E quella sera (maledetta) con te c’era venuto; anche se gli avevi fatto male e gli avevi urlato: vattene. Perché Hattori (che, lo sapevi, dentro, aveva male) aveva scrollato le spalle e sorriso (deluso) e ti avevo detto: sei il mio migliore amico.

Hattori (quella notte vecchia e dannata) era stato ferito.

E tu – lo rivivi, vero Shinichi? – hai urlato: ie.

Perché Hattori (che ride) non c’entrava, con quel guaio. Perché Hattori (che arrabbiato non lo era più) ti guardava e sorrideva e diceva: hai visto, Kudo? Ce l’abbiamo fatta.

Ma tu – fa male, vero Shinichi? – di farcela e di aver vinto non ti interessava. Perché Hattori sorrideva ( e no, quel sorriso proprio non ti piaceva) e (cocciuto) ripeteva: adesso tornerai grande. Sarà bello, Kudo. Bello.

E tu (bambino) ripetevi: sì, bello. Mentre la voce ruzzolava; mentre la gola ti soffocava; mentre la mano stringeva e scivolava e dentro (per la prima volta. Da tanto) ti ripetevi solo: non piangere. Perché Hattori è cocciuto (lo conosci, Shinichi); Hattori è cocciuto e ha tanti progetti (illusioni) e tu (davvero) hai capito che ce lo volevi, con te, ad indagare. Ce lo volevi con te, e basta.

Hattori, quella notte, è stato ferito. Perché (cocciuto) con te ci era voluto andare (anche se lo avevi cacciato). E il suo cuore, adesso, non ce la fa più.

E ad Hattori (che – lo sai, Shinichi – è cocciuto) sono rimaste le illusioni e tanti rimpianti. Ma quando tu (arrabbiato) gli chiedi (ancora): ne valeva la pena? Hattori alza le spalle e sorride e (stanco) ti allunga la mano.

E (cocciuto) ripete (e l’accento ride): sei il mio migliore amico, Kudo.

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“Ehi, Hattori.

A te…non è mai capitato… di uccidere qualcuno?”

“Ie. Perché?”

“A me sì”

“Chi?”

“Un amico. Il migliore”

Note linguistico-culturali

  1. Watashi wa Shinichi Kudo desu: mi chiamo Shinichi Kudo.
  2. Engawa: veranda esterna di legno, coperta da un tetto spiovente che solitamente da sul giardino e corre attorno alla casa. Può essere chiusa da pesanti porte di legno o lasciata aperta, e costituisce l’ingresso principale per i visitatori, che sono tenuti a togliersi le scarpe sul gradino di pietra prospiciente.
  3. Kayaributa: zampirone giapponese usato soprattutto in estate.
  4. Sumiyoshi: ultima festa estiva del calendario celebrativo di Osaka, si svolge all’omonimo tempio fra la fine di Luglio e i primi di Agosto.
  5. Acacian: bambino.
  6. Okini: grazie nel dialetto di Osaka.
  7. Nani?: cosa?
  8.  Hai: sì.
  9. Kotatsu: tavola di legno con stufetta incorporata ricoperta da un futon, mobile invernale tradizionale giapponese.
  10. Osakaben: letteralmente, dialetto di Osaka. È una delle varie parlate diffuse nella regione del Kansai, caratterizzata da un tono musicale e scanzonato, con un accento e alcune inflessioni grammaticali diverse da quelle del giapponese standardizzato.
  11.  La festa cui si fa riferimento nel negativo 5 è quella di Tanabata matsuri o festa delle stelle, celebrata il 7 Luglio, in cui è uso appendere i propri desideri, in formato poetico, ad alcuni rami di bambù con funzione benaugurante.
  12. Aho no Kudo: stupido Kudo. Nel dialetto di Osaka a baka si sostituisce aho.
  13. Domo: grazie, in modo abbreviato e colloquiale.
  14.  Ie: no.
  15. Omedetoo: congratulazioni.
  16. Akatonbo: letteralmente Libellule rosse, è una ninna nanna giapponese.
  17. Komori uta: ninna nanna.
  18. Okeari, Kudo: bentornato, Kudo.
[Concludendo]

Dunque.

La prima fan fiction che scrivo, in questo fandom. E la lascio incompiuta, in un certo senso. Perché, io per prima, so che non si capisce esattamente se il trapianto necessario a Heiji avverrà o meno o se (come dice Shinichi) morirà.

Ma ho voluto così; ognuno è libero di leggere soprattutto le ultime battute come maggiormente gli aggrada: realtà, ricordo, illusione, paura, realtà traslata (o metaforica, che dir si voglia).

In definitiva, nello scrivere questa fanficion, mi sono accorta che non mi interessava la conclusione in sé, ma il processo per arrivarci. Mi interessavano (stimolavano) le situazioni che potevano crearsi, i dialoghi che Shinichi e Heiji potevano fare in ospedale, in attesa del trapianto, e i collegamenti retrospettivi che avrebbero potuto creare.

Adoro Heiji e Shinichi; e li adoro in coppia. Credo (temo) che il loro rapporto sia uno dei più belli, complessi e sfaccettati in cui finora mi sia imbattuta in un anime/manga.

Mi sono divertita a invertite le parti, in un certo qual modo. Di solito, è Shinichi il pessimista, quello rassegnato (non in senso assoluto, sia chiaro); mentre Heiji ha dalla sua una carica di entusiasmo e vitalità splendida. Qui, invece, mi sono chiesta: e se per una volta fosse Heiji a non confidare più? In definitiva, è lui quello disteso in un letto d’ospedale; è lui il nome in una lista di mille altri. Penso che in un simile contesto Shinichi sarebbe disposto ad accantonare la logica e la razionalità per il solo intento di poterlo rasserenare almeno un po’.

Nove quadretti, in tutto. Nove rimpianti o ricordi o testamenti che Heiji ha o vorrebbe lasciare. Nove piccoli spaccati senza alcuna pretesa del suo rapporto complicato con Shinichi Kudo. E sulla sua ferma decisione di essere, comunque, sempre dalla sua parte, al suo fianco.

Senza pretese; alla vostra gentilezza.

 
Autore: Avalon9
Titolo: Persona
Genere: Introspettivo, Malinconico
Avvertimenti: one shot
Personaggi/Pairing: Zero/Lelouch vi Britannia
Rating: Arancione
Note dell'Autore: è difficile, ne sono consapevole io per prima. Confusa. Molto confusa. Ma dato il background che ho scelto, una certa disarticolazione l’ho ritenuta possibile. Gli ultimi istanti di vita di Lelouch, la sua mente nei pochi secondi che intercorrono da quando Suzaku lo trafigge a quando rovina in fondo alla scalinata. La Nemesi in un certo senso e l’altra metà della mela dall’altro. Non ho mai pensato a Suzaku come Zero. Zero è Lelouch. E basta. E, probabilmente in una forma malsana, sono persuasa che Lelouch abbia rivisto se stesso dietro alla maschera di Zero, e non Suzaku. O meglio: non solo Suzaku.
Il titolo infine: persona viene dal latino e significa sia “maschera” sia “persona”. Da qui l’idea: Zero e Lelouch non sono la stessa persona, ma due persone in un medesimo corpo. Non è tanto una ripresa della devianza psichica della duplice personalità quanto piuttosto la mia visione del rapporto fra Zero e Lelouch: entrambi hanno molto dell’altro, ma non sono identici. Zero è la sfrontatezza, la mancanza di freni, l’astuzia esasperata. Zero è lo stratega. Lelouch è il fratello maggiore, la sofferenza soffocata, l’ideale che non si vuole abbandonare. Lelouch è una specie di iperuranio. Assieme. Assieme sono un qualcosa di troppo complesso e indefinito. Sono loro. E quando muore Lelouch muore Zero. E mentre Zero vive vive Lelouch. Non sono uguali, ma non sono scindibili.


                                                                          PERSONA
                         Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero.
                                                                                                     Oscar Wild


Te lo ricordi il tuo viso, Lelouch?
É difficile, il tuo viso. É il sorriso di un fratello, la rabbia di un bambino, l’astuzia dello stratega. É difficile il tuo viso Lelouch. Come le relazioni a palazzo, fra i ricordi che il tempo sbiadiva e ti lasciava addosso quella sensazione di perduto che non se ne voleva andare. Che non poteva mai andare via.
Te lo ricordi il tuo viso, Lelouch? Te lo ricordi in riflessi troppo perfetti per non essere distorti; fra le ombre di monitor troppo studiati, dentro gli occhi inesistenti di Nunnally. Lo ricordi. E lo ritrovi dentro pensieri istinti lampi che baluginano confusi.
Il tuo viso.
É difficile il tuo viso, Lelouch.
É difficile anche adesso, con quel sorriso bastardo che hai scoperto di amare. Mentre sollevi una mano e strisce di sangue ti disegnano il profilo. Te lo senti addosso, quel sangue. Te lo senti nella gola risalire col respiro, scivolare sul mento ad ogni colpo di tosse ad ogni parola soffocata per in quella commedia nera che hai creato.
Ti piace il nero, Lelouch. Ti è sempre piaciuto.
E ami quel volto nero che ti guarda senza espressione. Rimpiangi la perfezione di un’indifferenza che faceva tremare, la dolcezza di una concessione che non occorreva esternare.
Amavi il nero, Lelouch; e amavi il tuo viso nero. Di quell’oscurità che hai creato, anelato, protetto. Agognato. Hai aspettato; così tanto. Il tuo viso dentro i tuoi occhi. Il tuo viso davanti a te: vivo. E non ha occhi che ti osservano; non ha lacrime da versare o sorrisi sghembi che sanno raccontare.
Il tuo viso. Il viso di Zero.
Ti sta davanti in ombre cieche e conosciute, così conosciute che hai paura di ritrovare, che desideri solo ricordare. E mentre pieghi a fatica la testa; mentre sorridi e ti domandi quando hai scoperto che sapevi sorridere in quel modo, le labbra arricciate e appena sollevate. Mentre annaspi per guardarti ancora, per guardare Zero, rivedi tante risate, risenti vuoti sorrisi. E ti ritrovi a pregare di non avere più bocca per urlare; di non aver più labbra per amare. Ti ritrovi a pregare di risentire metallo contro sussurri urla singhiozzi che non devi lasciar scoprire, che possono solo morire.
Ti ritrovi a pregare.
Mentre ascolti il respiro sempre più distante, l’affanno sempre più pesante. Riecheggiare dentro la maschera che portavi. Risuonare rimbombare ripetere. Ripetere nulla che abbia valore. Ma per te. Per te: è la risonanza di un viso spiato cambiare, di contorni visti mutare, crescere, perfezionare.
Per te.
Dentro di te.
Dentro di lui.
Zero.
Te lo ricordi il suo viso Lelouch? Te lo ricordi dietro a specchi che si andavano disgregando, in fondo a riflessi che morivano dentro rimpianto.
Te lo ricordi il suo viso Lelouch, nella pelle scivolosa e negli occhi invasati. Te lo ricordi investirti simile a vento, annichilirti di vuoto agognato. Riempirti. Averti. Bruciarti.
Scivolando nelle lusinghe di sogni inespressi; serpeggiando fra aspirazioni e fobie soffocate in lacrime lasciate seccare contro cuscini di bambini morti in vite abbandonate.
Te lo ricordi.
Lo vedi.
Lo senti.
Nel baratro aperto che ti sta inghiottendo. Nel baratro che è la tua maschera, il tuo viso. Nel baratro che sei tu, dentro di te, in fondo a quegli occhi che non esistono e tu ti senti addosso. Perchè ti senti fissare. Mentre stringi gli occhi e respiri e sorridi.
Gli occhi di Zero.
Occhi vuoti senza taglio, senza disegno; occhi pieni di rabbia e sentimento. Gli occhi di Zero. I tuoi occhi dentro un viso diverso; i tuoi occhi su un volto che non riesci a lasciare, su un’espressione che hai imparato ad amare. Mentre l’odio diventa soddisfazione.
Lo vedi Lelouch? Nel tuo viso. Nel tuo viso che ti fissa senza indugiare, nella sicurezza che puoi solo accettare. Lo vedi Lelouch quell’abisso che non ha espressione aprirsi in un abbraccio di bambino perduto?
E mentre ti lasci guardare.
Mentre ti guardi dentro un riflesso che riconosci, che senti essere tuo, solo tuo. Mentre tutto è silenzio di pochi secondi sorridi bastardo di quel viso che non ha volto ed è tuo. Solo tuo.
Sorridi della maschera lucida che ti è davanti. Mentre ricordi una libertà pericolosa scenderti in corpo, inebriarti la testa, quando la indossasti per la prima volta.
La tua maschera. Dicevi, e dentro ridevi di quell’idea un po’ sciocca un po’ infantile che ti era balenata quasi per caso.
Una delle tante, ripetevi. Una fra mille, ti illudevi. Di cambiare, camuffare, ingannare tutti, compreso te stesso. É l’unica regola appuntavi. E intanto alla maschera seguivano azioni; intanto a parole seguivano folli determinazioni. E ogni volta era più difficile strapparsela dal viso; ogni volta ti sembrava di rifiutare un sorriso.
E adesso ti guarda.
Ti guarda e ti sussurra: vivrai.
E mentre osservi il cielo che si va illuminando; mentre ascolti un’eco di un nome che è tuo, che è anche e solo tuo; mentre riavverti l’abbraccio di una sorella dovuta lasciare: Mentre aspetti in quell’istanti, il freddo che risale nelle ossa alzi la testa e ti osservi. E nel riflesso della maschera ti vedi e sai che sei lassù, accanto al trono da cui sei precipitato. Sei lassù, la spada sporca del tuo sangue che si alza; sei lassù, col respiro pieno e un cuore che ancora batte.
Sei lassù.
Osservi il cielo; e osservi te.
Il tuo viso.
Il tuo viso nella maschera.
Il tuo viso che è la maschera.
E sorridi bastardo. Perché vedi con altri occhi; perché respiri un altro respiro. E allora. Allora lo sai davvero che Zero sorride con te. Che Zero ride dentro di te.
E mentre chiudi gli occhi per la troppa luce; mentre ricordi rivedi e rivivi anni trascorsi lasciati fuggire; mentre ascolti voci ormai confuse di riaprire gli occhi su mondo che hai dimenticato, su quel mondo che hai sempre immaginato.

Te lo ricordi il tuo viso, Lelouch.
Nero come la determinazione.
Nero come una maschera che risplende nel sole.
Nero come il riflesso della tua volontà.
Lo conosci il tuo viso, Lelouch.
Dietro un vetro che non lascia riflesso.
E sorridi.



GIUDIZIO

1° Classificato: Avalon9 con Persona (44 punti su 45)

Grammatica e Lessico: 9/10.
Ho trovato molto particolare ed estremamente interessante la scelta grammaticale e stilistica effettuata in questa fanfiction. L’idea di diversi concetti ammassati alla rinfusa, senza una virgola a separarli, come in questa frase, per esempio: […]contro sussurri urla singhiozzi […], rende perfettamente la confusione e la frammentazione dei pensieri nella mente di un uomo che sta vivendo per gli ultimi istanti. L’ho apprezzato molto, in quanto si fonde perfettamente con il contenuto della storia, senza peccare di gravi errori di grammatica.
Tuttavia, ci sono alcune sviste, errori di battitura, come un i che doveva essere un di (pregare i risentire), o un scoperti che doveva essere scoperto (hai scoperti che sapevi sorridere in quel modo) e, infine, una frase in cui, probabilmente, manca una parola: ad ogni parola soffocata per in quella commedia nera che hai creato. Ammetto di non aver compreso se fosse un effetto voluto, ma, in tal caso, per sottolineare ciò, forse sarebbe stato meglio scrivere soffocata per- in quella…
Nonostante ciò, essendo, per l’appunto, sviste, ti ho penalizzato di pochissimo.
Ah, è Nunnally, non Nannully. 

Attinenza alla Consegna: 10/10
Ottimo lavoro, veramente, ottimo. Sai, il rapporto tra Lelouch e Zero era tra i pochi su cui non avessi granchè riflettuto, e la tua storia mi ha donato l’opportunità di vederlo da un punto di vista non poco interessante: il binomio tra Zero e Lelouch come parti scisse di una stessa persona, che insieme sorridono e ridono, ma al contempo opposti: il sorriso di un fratello contro l’inespressiva maschera. Non è un concetto semplice da rendere, e mi complimento con te per esserci pienamente riuscita.

IC: 10/10
Anche qui, ho ben poco da criticare, anzi! Tramite l’utilizzo di un momento e di un’analisi complessi, sei riuscita a caratterizzare incredibilmente tanto Lelouch quanto Zero, descrivendoli tramite volti riflessi, e cogliendo l’essenza di entrambi.
Complimenti!

Originalità
: 10/10
Che dire? Il rapporto Zero/Lelouch è tra i più complessi – se non il più complesso in assoluto – della saga e scegliere di analizzarlo all’interno di una scena solitamente vista alla luce del rapporto Lelouch/Suzaku, o Lelouch/Nunnally è un gesto che mi ha colpita.
Penso che, se fossi stata io l’autrice, avrei scelto infiniti altri momenti, ma non quello della morte di Lelouch; forse, è proprio per questo motivo che mi è apparsa decisamente originale come scelta. Per non parlare della luce sotto cui vengono messi Zero e Lelouch.
Brava, brava davvero!

Giudizio Personale
: 5/5
E’ bella, molto; l’ho davvero apprezzata. Per il tema trattato, per il modo con cui è stato trattato, per la scelta simbolica del titolo, per l’introspezione di Lelouch, che amo infinitamente.
Un punto simpatia per la citazione: Wilde era molto più che un genio.

Punteggio totale: 44/45